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Gabriele D'Annunzio

 

SAN LAIMO NAVIGATORE

 

     In un giorno di sole un pescatore discese allariva del mare con le nassee camminò così verso austroa piedi nudisul’arena ove il fiore salino qua e là biancheggiava simile a un cristallo puroe raggiante. Il silenzio era grande nell’ora e le acque a pena fluttuavano.Come l’uomo giunse al punto in cui un ramo di fiume metteva foce nel maresifermò per succingersipoiché l’alveo qua e là scoperto rendeva facile ilguado. Un altro ramo affluiva più lungi; e il paradiso del deltapingued’alluvioniin mezzo prosperava di piante e di animali.
     Volarono sopra il capo del guadante molti uccelliordinati in triangologiocondi al cantaree discesero tra li alberi. Ondel’uomoallettato da quella melodiosa delizia di richiamisostò su l’altrasponda; e piacevolmente poi andò premendo la freschezza dell’erbe con lecalcagna use alla sabbia torridamentre le sue pupille fastidite dal candorsalino si riposavano nel verde.
     Una dolce deità di pace ora felicitava la selva:da un albero all’altro saglienti si comunicavano i canticis’aprivano a pièdei tronchi famiglie di fiori versando aromie in alto tra li intervallistellanti delle fronde fioriva anche il cielo. Tutte le creature in quel rifugioesercitavano liberamente la vita. Il suono de’ passi tranquilli su i muschimeravigliava nell’animo l’uomo; il quale così procedendo per mezzo a quellamansuetudine di amori si sentiva come da una pia unzione di balsamo lenire lafatica delle membra e purificare.
     Ma quando giunse egli al centro della selvaunmiracolo gli si offerse alli occhi. Giaceva su la natural cuna dell’erbe uninfante e sorrideva teneramente luminosoin una forma tra di essere umanocandidissima e di fiore. Le carni si piegavano in anella rosee ai polsiaimalleolialla nuca; e i piedi terminavano in quelle vaghe arborescenze di cuili antichi artefici ornarono le statue di Dafne cangiata in lauro. Li arbustiaromatici facevano in torno al nato una musica d’orezzosoave come il murmuredelle prime api nella stagione del miele.
     Il pescatoreattonitoristette. D’improvvisoun vecchio con lunghe trecce di barba su ’l pettocon su’l capo una mitrad’oro simile in vista a un patriarcasorse dalla terra.
     «Raccogli il fanciullo e recalo al tuo signore.Tu vivrai lungamente in letizia e i pesci riempiranno le tue reti» disse ilvecchio; e subito sparve come un’ombra nel sole.
     Il buon pescatore si guardò in tornostupefatto.Li alberi stormivanoe un branco di caprioli passava tra i frútici.
     Egli riempì d’erbe uno de’ suoi cestiesopra vi adagiò l’infante. Rifece il camminoa traverso la selvaportandosu la testa il peso. E poiché al moto dei passi la culla di vimini ondeggiaval’infante si addormentò placidamentelungo la riva del mare.

     Ora viveva nel suo gran palagio il signoredelle terre marittimesu ’l declivio di un colle. Egli era benigno co’ isudditicome un padre co’ i figliuoli; prossimo al limitare della vecchiezzaegli era pacifico e saggio nel timore di Dio.
     Vasti pomaripieni di tutti li alberi fruttiferie odoriferi prosperavano dietro il palagio; mule e cavalli nobili oziavanodinanzi alle greppie cariche di fieni e di biade; l’olio empiva i pozzi neisotterranei; tanta era la copia del fromento che immensi granai stavano sempreaperti al piacere di ognunoliberal cibo anche alli uccelli del cieloe tantaera la copia delle uve che in autunnonella natività del vinolunghe file dibestie da soma partivano a traverso i dominiirecando la divizia del liquoreletificante.
     Nell’interno i cortili marmoreicome li atriidi un reerano giocondi d’acque vivedi arancidi statuedi paggi e dicani. Corami preziosi incisi di chimere e di draghiincrostature di agate e didiaspriavori di liofanti e di liocorni ricoprivano le pareti delle stanze; lesuppellettili materiate di legnidi metalli e di tessuti rari si riflettevanocome in lucidi specchine’ pavimenti di musaico polito. Grandi logge sorretteda ordini di colonne in pietra numidicacoperte da tappeti di fiori e dacortinaggi di fogliesi prolungavano in fuga giù pe ’l declivio sino allimite della rada frequente di pesci. Sotto una delle logge erano le mudegovernate da buoni maestri: ogni anno CandiottiSarmati e Sassoni leprovvedevano di cinquecento girifalchie poi d’astori bianchi d’Africadisagri tartaridi pellegrini d’Irlandadi tunisenghi germanicidi lanieriprovenzani in grande abbondanza.
     Nel lato di settentrione spaziava il parcoricchissimo di selvagginaove tra li altri animali prolificavano diecimilacervi e sessantamila fagiani.
     Uomini esperti in opera di canto e di stromentiarmonici dilettavano l’animo del signore e della sua donnaserenavano levegliesuscitavano gioia nei conviti. Un unguentario componeva profumi. Unmonacoche tra una gente d’Arabia aveva appreso ad usare le virtùdell’erbecoltivava i semplicie nei vegetali indigeni in vano cercava datempo un succo che rompesse la sterilità della matrice.
     La donna del signoreinfecondatraeva i giorniassorta in una nativa mestizia. I suoi occhi splendevano come puro elettro.Sotto la tunica si designavano le forme verginali giovenilmente. E quando ellasaliva i gradini di porfirolevata le mani verso l’altarei capellidisciolti le inondavano la figura estaticae le davano un’apparenza di deità.

     Giunse al palagio l’infantecome un donoceleste. E per tutte le terre si sparse la novella; e tutte le genti soggetteaccorrevano.
     Allora il sire magnifico bandì una luminariaconviviale. In segno di felicitàcorsero giù per il colle fiumi di vinobiondi e vermigli; si vuotarono vasi di miele fragrante di timo; si assaporaronofrutta grosse come una testa d’uomo; mille giovenchi furono colpiti in ungiornoe fumigarono su le brage; furono sgozzati settecento porci enormi comerinoceronti ma di carni più tenere che la coscia d’un agnello; cacciagioni epescagioni furono prodigate su vastissimi piatti d’oroe dal ventre deivolatili e dei pesci uscirono gemmeanelligioiellimonete insieme conl’uva di Corintoco’ i pistacchi d’Italiacon le nocicon le olive. Su’l golfo arsero fuochi di legni odoriferie faci illuminanti per gran trattoil marecosì che galee veneziane e saettíe di corsali barbareschi da lungividero il rossoree novellarono dell’incendio di una città favolosa. Ilvapore delle gomme balsamiche salì al cielo in nembi; cantici di religionesonarono nell’ariapiù dolci di ogni aroma; e tutte le fronti si cinsero dicorone.

     L’infante si chiamò Làimo. Adagiato in unacuna mirabilefatta di una conchiglia rara che due tritoni sorreggevanoeglivolgeva in torno li occhi aventi nel riso l’umido splendore argenteo dellapolpa d’un fiore. Vennero le nutricifemmine plebee dal seno opimovermigliedi salute; ed egli ritrasse dal loro latte la bocca. Solanto una cerva fulva lonutricò. Questa mammifera mansueta restava a lungo presso il fanciullocoricata a piè della cuna; si cibava di fogliami teneridi funghidi fromentoe beveva in un vaso di murra linfe pure. Al suo bramito tremulo e dolceunagioia di movimenti vivaci animava le membra del poppantee il piccolo anellodelle labbra si schiudeva spontaneamente nel riso.
     Con una prodigiosa rapidità ascese Làimodall’infanzia alla puerizia. Egli ebbe la testa di un dioscuro tutta nera diricci simili a grappoli di giacinti. Nel suo corpo rifulse la bellezza di ungiovane Baccol’armonioso componimento di una statua fidiaca. Il torso erauna viva opera di cesellopoiché le coste si palesavano sotto la formanascente del torace; il gioco dei bicipiti nelle braccia perfette come quelledell’Antinoo incideva su le spalle talune lievi cavità mobilissime; le renisi insertavano ai lombi con un’inflessione serpentina di ginnaste; lemusculature delle gambe avevano la lunghezza agile di disegno d’un efeboateniese; ai malleoli si collegavano piedi schietti e nervosi di atletacorridoreterminanti in dita simili a un gruppo di radici tenui; tutta lapersona gioiva nell’equilibrio della grazia e della forzacon mollezze dicera ricoprenti fieri congegni di acciaio.
     Così l’effigiòin una lega di metalli nobiliun artefice del quale ignoriamo la patria e il nome.
     Làimo non amò cavalliné falchiné cani.Egli fu esperto nel trar d’arco più che un saettatore parto; e pure giammaifreccia d’argento della sua faretra ferì tra li alberi una preda. Ma i grandicombattimenti epici delli squali nel golfoal tempo delli amoril’attraevano. E come gli giungeva pe ’l silenzio meridiano il fragoreeglibalzava di gioia; epreso l’arcopianamentenon visto da alcuno scendeva giùper una corda di palmizio nel parco e attraversava la selva fino al promontorio.
     Due quercisimili a monumenti titanicidell’epoca favolosacomponevanouna porta di trionfo alta duecento piedi. Ilsole illustrava di candori argentei le scorze centenarie; e di là dalla porta ilaberinti della foresta si inabissavano nell’ombra.
     Il fanciullo su ’l limitare sostavarapitonella grandezza e nella dolcezza della solitudine. Poicome il fragore lontanolo riscotevaeglicon una agilità di veltro dietro un branco di lepriinsinuavasi tra fusto e fustostrisciava tra le erbe altissimesaliva scalefatte di radicisaltava ostacoli di arbustipiegava sotto i rami pesanti. Ilfragore del combattimento si faceva a mano a mano più vicino e più terribile.D’un tratto il mare chiuso in un vasto anfiteatro di granito apparivasplendidissimoe su le acque più di tremila squali battagliavano.
     Era un magnifico spettacolo. Dall’alto delpromontorio il fanciullo seguiva con l’occhio tutte le vicende della strageillustrata pienamente dalla luce solare.
     I pescienormi chimere d’acqua salsaviolaceie verdi nel dorsobiancastri nel ventrearmati di scudi ossei e d’un grandente di narvaloformavano cumuli mobilissimi emergenti crollantirisollevantisi con una rapidità indescrivibile. Il balenío delle lunghe spaded’avorioil luccichío dei corpi oleosili sprazzi d’iride nelle scaglidelle codelo spumeggiamento immenso dell’acquetutto quel cieco furore diferitequell’odore acuto di grasso e di sangue eccitavano il fanciullo.
     I cadaverigalleggianti co ’l ventre riversodentro cui l’avversario avea lasciato l’armaerano sbattuti dall’ondacontro le pareti di granito. Squalicon la mascella rotta e priva del denteuscivano dal folto della zuffa e dibattendosi nelle scosse ultime della mortecangiavano i colori. Frammenti d’avorio nel cozzo erano lanciati a grandialtezze per l’aria. Avvenivano talvolta meravigliosi intrecciamenti su lavetta dei cumuli. Talvolta coppie di combattenti si distaccavano dalla falange evenivano a tenzone singolareoperando prodigi di ferocia. Larghe chiazzesanguigne si dilatavano in tornodissipate poi dai colpi delle pinne e dellecode; e il numero delli uccisicrescendo rapidamenteavanzava quello deisuperstiti.
     Allora Làimodinanzi alla enormitàdell’eccidioinvaso da un fiero impeto tendeva l’arco e cominciava asaettare. Le frecce acutissime penetravano sino alla cocca nelle carni molli eun istante vi oscillavano. Mapoiché li squali non curando le nuove feritepersistevano nell’accanimento dell’irain breve tempo lo sterminio eracompleto. La sollevazione delle acque placandosile schiume si dissolvevano: latenacità della vita in quei corpi aveva ancora qualche battito supremo di codae di pinnequalche debole sussulto nella fessura delle branchie. Poidall’ondeggiar supino di tutti i cadaveri si levava un intenso folgorío disquamee per li scoscendimenti ’l pasto.

     Così in Làimo li spiriti pugnaci sidestarono; e un desiderio di avventure per le terre d’oltremare a lui crebbenell’animo. Egli passava lunghe ore guardando la marea salire o le velefuggire in distanza nella luminosità delle grandi acque.
     Talvolta seduto ai piedi della signorain fondo auna loggiaseguiva sopra uno stromento di tre corde le canzoni dei marinari.Molte catene di fiori pendevano giù per li intercolonnii: e dinanzinel golfocalmo e tiepidole testuggini marine dormivano su ’l fiore dell’acqua dandoal sole i larghi scudi raggianti come un’ambra pura.
     Làimod’un trattogittava da sé lo strumentoe scoppiava in lacrimeperché avea visto apparire la prora di una galea nellontano.
     Il sire e la sua donnaignorando la causa ditanta tristezzaper letiziarlo chiamarono alla corte i più famosi buffoni edanzatori della cristianità; bandirono per lui conviti ove i più rari cibi simangiarono tra suoni d’arpe e cori di fanciulle; gli donarono cavalli copertidi bardature gemmanti e ricchissime armi cesellate da orefici di gran nome;aprirono nel parco una caccia in cui durante tre giorni mille cervi furonouccisi e dugento capri e novanta cinghiali.
     Poiquando Làimo alfine chiese un naviglioilsire adunò artefici navali d’ogni patriali provvide di legno di cedrodilino d’Egitto e di metalli. L’opera fu compiuta in dieci mesi.
     Era una galea con cinque ordini di remi.L’antenna maggiorepiù diritta e più inflessibile che un pino del monteIdacerchiata di argentocoronata d’un gran gallo fiammeggiante come unfaroportava una gran vela quadrata e due vele triangolari. Su la pruadipintaad encaustoil corpo magnifico di una nereide torcendosi a seconda dellacurvatura attingeva con i piedi la carena e in un gesto atteggiato di graziatendeva all’alto le mani. Su per il bordo stavano scolpiti agili puttibacchici che tutti insieme facevano componimento di una danza. Il cedroimmarcescibile risplendeva ovunque tra li intarsi d’avorio e di sandalo; tendedi tessuti asiatici ondeggiavano su ’l ponte ombrando letti di piumee tuttala galea aveva apparenza di un naviglio su cui qualche bel re felice volessegoder l’amore delle sue spose.
     Allora trassero molte genti dalle terrecirconvicinepe ’l giorno della prova; e Làimo era in vista luminoso diletiziae il sire e la sua donna gioivano.
     Quando a forza di braccia la galea fu sospinta nelmareun grido immenso di meraviglia eruppe dalla folla suscitando per tutto ilgolfo li echi. Il mattino splendeva come in una conca di cristallo e i fondi delmare trasparivano.
     Làimo dopo i teneri commiati salì su ’l ponte.Cinquanta remigatori ignudistropicciati d’olio di oliva e di polvere giallatutti vivi di muscolistretti d’una corda la testa a fin che nello sforzo levene della fronte non scoppiasserosi curvarono su’ loro banchi; e la naveguizzò. Le genti dalla riva e dai paliscalmi salutavano. Ma un subitopresentimento di sventura corse nell’animo del sire e della sua donnatra illungo clamore delle salutazioni.

     La galea conquistava le lontananzecon unacrescente celerità di remeggioinseguita dalle torme dei delfini. Era il marein calma; e i marinaricome sogliono per alleggiamento della lor faticaa vocepari con la battuta dei remi cantavano. E Làimopoiché si sentì ventar su’l volto l’amarezza della salsuggine e ridere nell’animo a quei canti unaforte gioia d’impresenon lentò d’incitar con le voci e col gesto iremigatori. Egli dominava eretto su la sommità della prua: sotto di lui leschiene servili s’incurvavano come archii bicipiti delle cento braccia nelguizzo enorme parevano rompere la cutele fronti si enfiavano di vene violaceetutte le membra stillavano.
     Si mise il vento; fu spiegata la vela quadra cheun istante palpitò malsicura: li uominirotti dalla faticasi accasciaronosotto i banchi all’ombra. E il pilota ch’era un erculeo vecchio della terradi Natoliachiomato come un barbaroscorse tre fuste di corsali appressatidalla parte di levantee dissepiegando i ginocchi davanti al fanciullo: «Volgiamoil timone al ritornomio signore.»
     Làimo non udì il consiglio. I triangoli di linodi Egitto furono liberati; la galea fece impeto. E come dalla parte di levantele tre fuste venivano in contro a gran forza di remi e si vedevano già fuorde’ bordi le bieche figure dei corsaliun subito terrore invase la ciurma. Làimocinto da pochi valentisu l’alto della pruaatteggiato d’ira aspettava chele fuste giungessero a un trar d’arco. Il fischio della prima freccia mise ungran moto di scompiglio tra i predatori: un d’essi precipitò nell’acquacolpito a mezzo della fronte. Altrinell’urto dell’investimentoprecipitarono.
     Allora avvenne una breve zuffa. I corsali diCifalonia vestivano cotte di magliaerano agili come gatti pardie gittavanourli rauchi vibrando i colpi. Molti caddero per opera di Làimoprima che leloro mani toccassero la galea; molti si abbracciarono alle corde e conquistaronoa palmo a palmo il ponte. Qual vilissimo bestiamela ciurma dei servi dinanzi aquell’irrompere fuggiva o si prostravacon gemiti. Così che Làimosopraffatto dal numerosenza più arme nel pugnofu preso e vincolato.
     Stettero i corsali lungamente poi a riguardarloattoniti in vista; esgombrando i cadaveridi lui sommessi favellavano nelloro idioma.

     In breve tempo l’eroe soggiogò li animi diquella gente predace. Un giorno nelle acque di Brandizio eglisalito d’unbalzo su una cocca di Genovesi e separato per un colpo di mare dal legnocorsarescosi tenne saldo su ’l ponte nemico combattendo solo contro quarantaarmatiuccidendone buon numero in fascio con prodigiose feritetenendo indistanza i rimanenti fin che non giunse il soccorso a compir la vittoria. Dopoquella gran provale ciurme di Cifalonia con furiose acclamazioni lo elesseroducee tutta la notte al lume del fuoco greco banchettarono su la naveconquistata e bevvero vino di Cipro tra molti canti bacchici.
     Rapidamente la fortuna di Làimo crebbe e fiorì.Tutti i corsali del Mediterraneo e del Mar Neroattratti dalla sua famavennero a ingrossare la flotta. Egli divenne su i mari più potente dei re edelle repubbliche. Una terribile avidità di conflitti e di pericoli lo animava:per iattanza appiccò il fuoco alle galeazze del re di Spagna cariche d’oro eandò a gittar le sue frecce in Malamocco. Le ciurme gli obbedivano con impeticiechi: per seguire il suo grido passavano a traverso gli incendisislanciavano contro selve di picchesi attaccavano con le mascelle ai parapettidelle galee assaltavano mura sotto flutti d’olio bollente. Egli saccheggiò leisole dell’Arcipelago: predò mandre di bovi e di cavallicamellitessutivinifromentitesori di gemme e di metalli; nulla tenendo per sétuttoprodigando ai seguaci.
     Una volta inseguì una nave carica di trecentofanciulle tra le più belle della Grecia e della Georgiacomprate ed educate pe’l Califfo da un mercante di Bagdad; la raggiunse nelle acque di Scioe lapredò. Poinella seradinanzi a un promontorio coperto di piniegli bandìper la sua flotta un convivio. La selva di pini incendiata illuminò e profumòdi resina la festa; i corsaliche nelle continue fazioni avevano soffertocastitàfecero allora una furibonda orgia di amore. I bellissimi corpi dellefanciulle passarono di braccia in bracciatra le risa roche e le diversefavelleversando il piacere si bevve il vino dalle stesse bocche delli otrisibevve nel concavo delli scudi e nei caschi di rame; scoppiarono tra la gioiamolte contese mortali; l’alba vide le ultime insanie. E all’alba la nave delmercatantepoiché fu novamente carica delle trecento femmineportò la non piùvergine merce al Califfo di Bagdad.
     Un’altra volta Làimo liberò la regina chiusain una torre a cui le nubi cingevano la sommità. Tenne l’assedio per tregiorni e per tre notticombattendo Saracini giganteschi armati di scimitarrelunate. Molti legni gli s’infransero contro le scogliere e molti uominiperirono prima che le porte di bronzo cedessero. Egli appiccò quei canid’infedeli ai merli della torre e ricondusse la bella nel regnoin una cittàche aveva case con tetti d’oro e templi marmorei levantisi in alto come scaledi fiori.
     Grandi festeggiamenti furono dati in gloriadell’armata liberatrice e banchetti in cui quei truci corsali mangiarono sottorami di mirto e di laurobevvero in crateri coronati di rosesi asciugarono lemani in chiome di schiave asiatichesi distesero su tappeti magnifici a piè difontane che li deliziarono di una pioggia d’acque miste di aromi. La reginapresa d’amoreallettò Làimo con una lenta mollezza di blandizie: era tuttaluminosa ed odorosa naturalmentele narici rosee le palpitavano ad ogni minimodesíola bocca le fioriva di porporae i capelli le cadevano giù per ilcollo simili a grappoli d’uve mature.
     Ella provò tutti li incanti su ’l forte animodell’eroe per trattenerlo; ciecauna notte gli offerse la gioia delle suemembra e all’alba rimase ebra tra i guancialicon la testa pendula fuoridella spondacon li occhi spentile braccia morte. Ma poiquando file didromedari e di camelli con i lunghi colli carichi di musici e di danzatriciportando doni discesero dalla reggia al marele navi dell’eroe giàdirigevano la prora per altri lidi.

     Così Làimo divenne grande e famoso; e fucelebrato nei canti dei poeti per le corti e nelle leggende dei marinari. Unarepubblica d’Italia gli inviò messaggi offrendogli il supremo imperio dellaflotta col governo di due province. Il Cristianissimo di Francia fece segretepratiche per assoldarlopromettendogli alti uffici ed onori. I Selgiucidi glispedirono ambasciatori recanti su una picca tre code di cavallo e gli offerironola sultanía di Rumda Laodicea di Siria al Bosforo di Tracia e dalle fontidell’Eufrate all’Arcipelago.

     Egli oppose superbi rifiuti; andò in cerca dinuove terredi nuovi pericolidi nuovi conflitti. Navigò per mari tutticoperti di fuchi natantidove i remi s’impigliavano come in masse di gramignetenaci. Traversò immensi spazi dove l’aria e l’acqua tacevano in unaimmobilità di sonnoin un calore umido e luminoso per mezzo a cui torme diuccelli ignoti passavano simili a meteore. Incontrò scogli desertilieti dipiante verginicinti d’una candida corona di corallo. Approdò a una terraabitata da uomini scarnico ’l ventre prominenteche si coprivano di fangoper difendersi dalle punture delli insettitingevano di cinabro i capelliparlavano una lingua dolce e sonorae nulla amavano più del ballo e dellecanzoni. Vide paesi di cui li uominitutti dipinti co ’l frutto del genipoornati le labbra e li orecchi d’enormi dischi di legnoagilissimiferivanonell’acqua a colpi di frecce i pesci addormentati prima da succhi di radicivelenose. Vide isolette piene di una gente infetta d’elefanzìainfingardache passava la vita fumando l’oppionutrendosi di risoe prendendo dilettoai combattimenti dei galli e d’altri animali. Risalì correnti di fiumi dovescimmie innumerevoli tra le pacifiche forme delli ippopotami e delli elefantischiamazzavano.
     Tutti li indigeni dinanzi a lui si prostraronoofferendo in dono canne di bambù colme d’olio di coccofrutti dell’alberodel panelegno di sandaloambra grigiaignamicerabanane e canne dizucchero. Alcuni portavano alli orecchi bastoni dipintisu la pelle avevanoincise molte figure di uccellie tenevano in mano archi lunghi dodici piedi escudi di cuoio di bufalo. Altri erano cinti d’un perizoma di scorzaavevanola bocca e i denti neri come l’ebano per l’uso delli aromii capelliintrecciati di piumee percotevano stromenti composti di sei vasi di ramegradanti entro un legno concavo.
     Oraessendo Làimo nelle acque di una terraselvosai naturali in gran numero gli vennero in contro sui paliscalmi consuoni e con cantici per offerirgli i doni che si offrono agli dèi e peradorarlo. Vigeva in quella terra la profezia di un antico nume: "Io torneròun giorno sopra un’isola galleggiante che porterà cocchiporci e cani".
     Quando Làimo ebbe attinto il lidoil re tra ifigli si avanzò verso di luigli gittò su le spalle il mantogli porse unelmo di piumeun ventaglioe innanzi gli depose pezzi d’orodiamanti eperle. Tutto il popolo mise alte gridafemmine quasi ignudedipinte d’ocravermigliarecarono piccoli porcinoci e banane. Poi i grandi sacerdotilentamente uscirono dal folto delli alberiportando i loro idoli coperti didrappi rossi. Erano questi idoli una sorta di statue di viminienormiconocchi composti da gusci di noce neriattorniati di madreperlecon mascelleirte di molti denti di cane in due ordini. Mentre le forme orride e nuoveondeggiavano nell’aria tra li inni della religioneuna turba di danzatriciirruppe in torno all’eroe e danzò rapidamente al suono di un flautolungocinque piediche cinque uomini insieme sonavano.

     Làimo traversò tutta l’isolain trionfocome fosse un bel diotornante fra i suoi popoli. I re si inchinarono alpassaggioi sacerdoti prostrarono la fronte nella polvere; il seguito dellielefanti e dei cavalli carichi di doni si accrebbe a mano a mano lungo la viadivenne innumerabileoccupò la distesa di centosettanta miglia. Era la doviziadelle terre in torno meravigliosa: le foreste si erigevano ad eccelsealtitudinile urne dei fiori potevano in sé nascondere il corpo di un uomoiprofumi avevano la dolce forza letificante del vino e i colori la vivezza delfuoco.
     Su ’l limite di una boscaglia fluviatile letigri balzando dalle erbe si gittarono al ventre dei cavalieri. Làimofulmineotese l’arco e con tal rapidità le trafisse che quelle caddero primad’aver raggiunta la predagiacquero sulla schiena dibattendosi. Un subitogrido di gioia e di stupore corse per le genti: e tutte lungo il camminocantando nel loro idiomaripetevano una parola: «Mahadewa! Mahadewa!»
     Come il trionfo giunse alle rive del gran fiumeove mille templi facevano un immenso adunamento di colonne e di statuealnovello dio i sacerdoti mostrarono una scala di porfido sagliente per unareggiacostruita di mattoni e di calce.
     Era un edifizio quadrangolarecomposto di trepiani con intervalli adorni di rilievi di pietra. I terrazziaventi unalunghezza di centocinquanta piedisostenuti da ventidue pilastriportavanosculture di corpi umanidi tigridi elefanti e di buoi. Ad ogni lato dell’edifiziostava confitta nel suolo una larga pietra in forma di testuggine: e alla sommitàin torno a un serbatoio di acquesi torcevano quattro tubi di bronzo in formadi serpi. Scale di porfido si slanciavano rapide a riunire le molidiscendevanosalivanotra mille proboscidi zampillanti; le sale ricevevano ilgiorno dall’oro delle pareti; i giardini avevano fiori vermiglilarghi ingiro più di otto piediche pesavano quindici libbree frutti di cui la polpasucculenta poteva far sazi tre schiavi.
     Làimo visse colàin riposocibandosi di unaroma restauranteungendosi di olii odoriferivestendosi di morbidi tessutivegetalie ad ogni tramonto di sole inebriando con la presenza del suo corporadioso una gente estatica nei mille templi. A lui cantavano i sacerdoti: «Noit’invochiamoperché tu sei il Signore degli dèi e delli uomini!»
     Fanciulle di tredici anniche avevano la pellediafana e gialla come l’ambra e lunghe sino ai calcagni le chiomeerano a luiofferte dai padri; ed egli molto si dilettava dell’amore. Bufali eccitati conortiche venefiche e tigri furiose combattevano dinanzi a luidentro gabbie dibambù ampie come circhi. Anche uomini contro uomini dinanzi a lui combattevanocon alte grida e con fragore di stromenti percossi. Egli così deificato vivevanell’oblio di tutte le melancolie umane.

     Ma un dìmentre egli gioiva in dilettid’amorediscese sopra il suo capo la colomba del cielo; e un profondo fremitogli ricercò le viscere. Parvegli allora di destarsi dopo un lungo sogno: i suoiocchi si empirono di dolorenelle sue forme perfette discese una scarnavecchiezza. Le fanciulle attonite lo riguardavano trascolorandosi coprivano lenudità con i capellipoiché un’improvvisa vergogna le coglieva dinanzi alui.
     Come il tramonto del sole era vicinosotto lareggia un immenso popolo tumultuando si fece ad invocare il dio: «Mahadewa!Mahadewa!»
     Il solesimile a un gran timpano politogittavascintille su le vestimenta dei sacerdotiinvermigliava le statue e le colonnepassando a traverso i pilastri dei terrazzi incendiava tutto l’edifizio.
     «Mahadewa!»
     Apparve finalmente Làimo. Egli era trasfigurato.Un manto di scorza tessuta lo ricoprivae si vedevano le corde dei nervi neisolchi delle sue braccia. Come egli tese le mani verso la follauna mite auradi pace aliò da quel gesto su tutte le fronti. Li invocanti stupefatti siprosternarono; e nel silenzio si udivano le fontane scrosciare sopra le scale diporfido.
     «O popoli del fiume» gridò Làimo nel vivoidioma di quella terra. «Ascoltate la mia vocepoiché io Vi reco una nuovalegge.»
     Un sussurro corse per tutte le gentie nei dorsifu come un sommovimento di porci. I sacerdoti sollevarono il capo.
     «I vostri idoli sono argento ed oroopera dimani d’uomini; hanno boccae non parlano; hanno occhie non veggono; hannoorecchie non odono; ed anche non hanno fiato alcuno nella loro bocca. Similiad essi sieno quelli che li fannochiunque in essi si confida...»
     «Nonoegli non è il nostro dio!» urlarono isacerdoti al popolointerrompendo il profeta di Gesù. E un gran tumulto agitòla folla: taluni balzarono in piedialtri rimasero prosternati. La voce di Làimocrebbecadde dall’alto co ’l fragore del tuonoe li echi dei templi sonorila ripercossero.
     «Ascoltate la parola del vero Diouominischernitori che signoreggiate questo popolorazza di serpiotri gonfiatitamburi rimbombanti! Egli scenderà su di voi simile ad un flagellodilanieràle vostre carnispargerà il vostro sangue su le pietrespezzerà le vostreossa come vasi d’argillacome gusci di cocchi.
     «Li artefici delle sculture son tutti quantivanitàe i loro idoli non giovano nulla; ed essi son testimoni a sé stessiche quelli non veggono e non conoscono. Essi tagliano un troncone prendono unapartee se ne scaldanoed anche ne accendono fuoco per cuocere il cibo; edanche ne fanno un dioe l’adorano; ne fanno una sculturae le s’inchinanoe le volgono orazionee dicono: "Liberami perché tu sei il mio dio".Essi non hanno conoscimento alcuno: e i loro occhi sono incrostati per nonvedere; e i loro cuori per non intendere...»
     «Taci! taci!» imprecarono i sacerdoticon gestid’iraminacciosi nella faccia. Li idolatri ascoltavano; altri da lungiaccorrevano: ad ogni tratto un clamor cupo si levava dalla turbacome unribollimento di flutti nel mare.
     Il profeta continuò. Egli diceva di un Dioviventedi un Dio grandegiusto ed eterno.
     «La terra trema per la sua ira e le genti nonpossono sostenere il suo cruccio. Egli spande la sua ira sopra le genti che nonlo conosconoe sopra le nazioni che non invocano il suo nome. Eccoil malepasserà da un’isola all’altrae un gran turbine si leverà dal fondo delmare; e in quel giorno li uccisi non saranno raccoltiné seppelliti: sarannoper letame sopra la faccia della terra.»
     «Taci! taci!» gridavano li idolatritendendo lemaniatterriti dalla profezia.
     Ma la voce di Làimo divenne d’un tratto dolcecome il suono d’uno stromento di cordedistesa come un canto di religione.Egli diceva d’una felicità senza fined’una giustizia imperante su tuttele gentid’una grande letizia d’amore nel giardino dei cieli.
     «Scenderà il Diocome pioggia sui campi di risoriarsifarà ragione ai figliuoli del miseroai poveri afflittie fiaccheràl’oppressore. Il giusto fioriràe vi sarà abbondanza di pacefin che nonvi sia più luna. Le correnti del fiume trarranno polvere d’oro; ruscellid’acqua vivificanti scorreranno per l’erbe; ciascun albero darà moltelibbre di gomma odorifera e frutticiascun seme produrrà ricchezze; e le tigrisaranno mansuetei rettili non avranno più tossicoli elefanti e i bufalisosterranno le fatiche della coltivazione. Il Dio signoreggerà da un mareall’altro e dal fiume fino alle estremità della terra. I re delle isole glipagheranno tributotutte le nazioni gli daranno inni e incensi di belzuino;poiché egli libererà il bisognoso che gridae il povero afflitto e colui chenon ha alcuno aiutatore; egli riscoterà la vita delli schiavi da frode e daviolenzae il sangue loro sarà prezioso davanti a lui—»
     Così parlava il profetaquasi cantando.
     Le turbe delli idolatrisoggiogate dal fascinodella vocetacevanocon le fronti chine; e come la pacificazione della lunascendeva su le forestesi spargeva per quelli animi un balsamouna calma pienadi freschezza e di profumi.
     Ora discese Làimo alla riva; e le genti loseguitarono. Ed egli camminava innanzi ammaestrandoe diceva di Gesùdel Dionovello che nacque da una verginee che accomunò li uomini in una legged’amore.
     «Egli è un Dio semplice e dolce: la sua facciarisplende come il solee i suoi vestimenti sono candidi come la luce. E tuttociò che a lui verrà chiesto con preghieresarà fatto.
     «Orsù» gridò uno dei sacerdoti«chiedi chequesta lancia dia fiori.»
     Prese Làimocon un mite sorrisola lancia dallemani dell’uomo gialloe la confisse dinanzi a sé nel terreno. Subitamentedal ferro sbocciarono fioriper prodigioe tutte le nari aspiraronol’effluvio.
     Confusili idolatri riguardavano. Uno di lorogridò: «Egli è protetto dai dèmoni! Egli ci farà morire!»
     Altri incalzarono: «Parlaparla giustifica iltuo potere!»
     Un tumulto improvviso agitò di nuovo la turba. Ilontaniche non aveano veduto il prodigiofecero irruenza con grandi clamorie i sacerdoti insinuandosi tra corpo e corpo andavano istigando le ireripetevano a gran voce: «Egli è protetto dai dèmoni! Sia gitatto nel fiume!»
     «Parla! parla!»
     Il profeta tentò salire su uno delli idoli dipietraper dominare la tempesta. Ma la profanazione audace inasprì liidolatri. Uno d’essi trasse a terra il profeta; altri si gittarono su di luipercotendoloaltri gridarono: «Al fiume! al fiume! Sia dato in pasto aigaviali!»
     Làimolanciato nelle acqueriapparve incolume amezzo della correntìa; e le frecce cadevano innocue in torno a luicomeramoscelli di belzuino.

     Ed egli così all’albeggiare giunse allafoce; e sopra un tronco tutto ancora lieto di fogliame navigò pe ’l marefino ad un’isola dove i naturali erano uomini pieni di tumori e di gozzicoperti di pelle squamosainfetti d’una serpigine biancastra e d’una sortad’elefanzía. Questa gente povera e pacifica non faceva uso del fuoco; e perlo più si nutriva di miele selvaticodi gommee dei nidi di certe rondiniindigene che prolificavano nelle caverne.
     Fu accolto Làimo con segni di gioiae gli furonoofferte patate dolci su foglie di palmizio. Ed eglipoi che per dono delSignore ebbe conoscenza di quell’idiomaparlava alli uomini e alle donnecome un apostoloe pazientemente li ammaestrava in torno alle dottrine delGalileo. Molti infermi egli guarì per virtù di erbe e di fede; e a poco a pocoandò liberando l’isola dal flagello della lebbrapurificò le scaturiginidelle acquediede insegnamenti su l’accensione del fuocosu la coltivazionedelle terre e su l’arte di edificare le case. Visse in grande umiltà e ingrande sofferenzaespiando le antiche insanietormentato dai ricordi che pertutto gli facevano udire lamenti di feriti e di moribondivedere macchie disangue su ’l suolo e ne ’l cielo.
     Dopo lunga serie d’anniquando i popolidell’isola prosperavano nel lavoro e nel buon culto di JesusLàimochefuggiva la vita e che nulla alla vita ormai chiedevafu preso d’un tratto daun infinito desiderio della patria. E poiché il buon Dio per segni manifestòd’esaudire la preghieraegli salì su un tronco di banano ancora carico difruttie si affidò alle onde.
     Dinanzi al debole sostegno si apriva il mare incalma; una torma di rondinelle indicava la via. E il vecchio santo venivapredicando ai pesci che tutti tenevano i capi fuori dell’acquae tutti ingrandissima pace e mansuetudine e ordine lo seguivano. Diceva egli del Diluvioe di Giona Profetae d’altri singolari misteri.
     Come dopo cinquanta giorni apparve la patriavideLàimo con molto dolore una deserta aridità di arene su i luoghi anticamenteubertosi. Le rondini lo guidarono al paradiso del deltaancora felice di piantee di animali.
     Colàsu ’l fiore dell’erbeegli si mise inginocchioper meditarecon le braccia levate al cielo e le palme supine; etenendo quella divota attitudinevisse in un dolce rapimento d’estasi. Iltempo gli consumava su le ossa le carni; e le edere verdi gli si attorcigliavanoper i fianchiper il pettoper le braccia; lentamente i caprifogli loabbracciavanogli fiorivano in torno al colloin torno ai polsiin torno allecaviglie sottili. I capelli di lui bianchi cadevano; li occhi prendevano unadurezza di pietra; nelli orecchi i ragni in pace tessevano la tela e nella palmadelle mani due rondinelle avevano fatto il nido.
     Molte primavere così trascorsero; e il santoancora viveva in estasipoiché li uccelli pietosi scendevano dai rami a porglile bacche selvagge nel cavo della bocca inaridita. Poi finalmente un giornosu’l vesperol’anima volò al cielo tra i cantici delli angeli e il corpo sidisfece in polvere come un’urna di creta.